giovedì 31 gennaio 2013

Lincoln

Non ho intenzione di dire che questo film non mi sia piaciuto, anzi, lo rivedrei.
Solo, non lo rivedrei tanto presto.
Già dal titolo é chiaro che Lincoln non é il solito film patriottico sulla Guerra Civile americana: non é Via col Vento, non é Nord e Sud.
Non é la storia di una piantagione, né dei soldati, né degli schiavi.
Tutte queste cose sono state già dette.
Questa é la storia di Lincoln, dell'uomo prima ancora che presidente, della sua battaglia personale, e di come questa battaglia abbia coinvolto tutte le persone che gli stavano attorno, dalla moglie e i figli ai suoi collaboratori, ai suoi avversari, fino all'intera Nazione, e oltre.

La Guerra qui rimane sullo sfondo: l'azione non si sposta quasi mai da Washington, e fatica ad uscire persino dalla Casa Bianca. Ma, quando si vede, non ce ne viene risparmiata un'oncia.
La battaglia politica non é meno cruenta di quella sul campo, o meno faticosa.
Si ha l'impressione, guardando questo film, di una grande fatica, che tutti arranchino, tranne Lincoln, che invece resta fermo.
Il Tredicesimo Emendamento deve passare, la schiavitù deve finire, il Sud deve arrendersi, e alla fine questo é esattamente quello che succederà, ma, mentre lo si vede succedere, si resta col fiato sospeso.
Solo dopo che l'emendamento é passato e la folla esplode cantando "The Union Forever", la tensione si scioglie: questa é l'America che conosciamo, questo é il mondo che conosciamo, mentre prima sembrava qualcosa di alieno.
Poteva andare diversamente: la libertà ci é costata cara.

Nonostante il film fosse così difficile e pesante, sono stato sorpreso di vedere che la sala era piena, anche, ma non solo, di persone giovani, e di come tutti loro fossero attenti, silenziosi.
Neanch'io credo ci sia altro da dire.
Andate a vedere il film.

domenica 27 gennaio 2013

Salotto Letterario al Lupo Rosso

Per il Duca di Insubria, questa é stata una specie di missione all'estero; infatti, ho oltrepassato il fiume Sesia, spingendomi fuori dai territori storici della regione chiamata Insubria, e sono arrivato fino a Torino.
Il motivo di questa escursione nel decaduto territorio Sabaudo é stato, come é ormai mia consuetudine, un'iniziativa legata al mondo dello Steampunk.

La libreria Lupo Rosso di Torino infatti, l'unica in città ad essere specializzata nella letteratura fantastica  (fatto strano a mio parere, vista la fama che Torino ha di "città magica") ha ospitato un salotto letterario dedicato al cinema Steampunk, il primo di una serie di quattro eventi sullo stesso tema.
Le proprietarie della libreria, in tenuta Steampunk
L'iniziativa si articola in questo modo:

  • Steampunk nel cinema
  • Steampunk nella letteratura
  • Steampunk nei fumetti e nei Giochi di Ruolo
  • Artigianato Steampunk
Ogni incontro si svolgerà nell'ultimo sabato del mese, da Gennaio ad Aprile.

Madrina dell'iniziativa é Serenella Volpe, fotografa di Vercelli e già attiva nell'ambito dello Steampunk locale, che ha curato e commentato le proiezioni.
Serenella Volpe, fotografa
Serenella é anche l'organizzatrice del concorso letterario E-Vaporismi, un'altra iniziativa promossa in collaborazione con il Lupo Rosso.

Durante il salotto letterario, Serenella e Lupo Rosso hanno cortesemente offerto il té delle cinque a tutti i loro ospiti.
Ha concluso la serata una proiezione a sorpresa.

Questo primo incontro mi ha lasciato molto ben imressionato e soddisfatto, e non vedo l'ora di partecipare al prossimo tra un mese.

CONTINUA...

The Oximoron: aggiornamento

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Per l'intervista a Elisa Oximoron, clicca qui.
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mercoledì 23 gennaio 2013

Django Unchained

Quentin Tarantino é famoso per i suoi "omaggi" al Cinema: ogni suo film é così fedele all'originale, qualunque sia l'originale, che sembra quasi di averlo già visto.
Allo stesso tempo, l'azione é così esagerata da lasciare senza parole.
Credo che Tarantino sia l'unico regista che riesce ad essere contemporaneamente trito e imprevedibile.
Django Unchained si inserisce alla perfezione nella sua struttura: si apre con le musiche di Ennio Morricone, le stesse del Django originale (con Franco Nero, che allora aveva il ruolo del protagonista, mentre qui la sua "Amichevole partecipazione" é diligentemente evidenziata già nei titoli di testa).
L'ulteriore presenza di Elisa Toffoli, il cui pezzo "Ancora qui" si trova a suo completo agio accanto a Morricone, fa di questo film il perfetto Spaghetti Western (anzi, Polenta Western, viste le origini friulane di Elisa).
Fino a qui, Tarantino si rivela, come sempre, un perfetto studente, ma da questo punto in avanti (cioé subito dopo i titoli di testa) inizia a stravolgere tutto nel suo inconfondibile stile.
Qui Django é un ex-schiavo che, liberato da un cacciatore di taglie, si mette alla ricerca della moglie, Hildi, nel frattempo guadagnandosi lui stesso da vivere come cacciatore di taglie.
Viene a sapere che la moglie é stata venduta al padrone della più grossa piantagione del Mississippi, che si fa chiamare affettatamente Monsieur Candy (Leonardo Di Caprio) pur non parlando una parola di francese.
Nel ruolo, per lui insolito, di cattivo, Di Caprio riesce ad essere disgustoso al punto giusto, pur rimanendo comunque affascinante; é quel fascino disgustoso, quasi morboso, tipico dei cattivi di Tarantino, odiosi ma anche memorabili. 
Jamie Foxx, nei panni di Django, é un attore col botto (letteralmente).
Qualunque cultore del classico Western dovrebbe vedere questo film. 

venerdì 18 gennaio 2013

Sonata per Elisa in DO minore (intervista a Nana Oximoron)

Eccomi di ritorno con l'intervista ad Elisa "Nana" Oximoron.
Nonostate si definisca un'"artista fallita", Chiara ha una
galleria Deviantart e una pagina Facebook che
gestisce con il nome di Nefasia.
Mentre intervisto la cugina, lei prepara il té, che mi
viene cortesemente offerto.
Persino la teiera merita di essere vista.

Duca di Insubria: Chi gestisce il negozio?
Nana Oximoron:  Il negozio lo gestisco io da sola. Per confezionare i vestiti invece, c'é la mia assistente/cugina Chiara, che si "offre" di darmi una mano. 
Quando può, viene ad aiutarmi anche il mio ragazzo, che si é fatto veramente in quattro per questo negozio.
Vedi la macchina da cucire? [É alle sue spalle N.d.D.] Quella me l'ha regalata il mio ragazzo per Natale [2011, N.d.D.]. 

"La macchina da cucire me l'ha regalata il mio ragazzo per Natale..."




Duca di Insubria: Come ti é venuta l'idea?
Nana Oximoron:  Al Lucca Comics & Games ho visto gli stand di alcuni negozi simili, e ho deciso che questo era quello che volevo fare (ho un diploma da operatrice di moda). Già di mio sono una Otaku e una giocatrice di ruolo: sono stata "introdotta" allo Steampunk dalla Campagna di un amico, e poi mi sono informata sull'argomento... e così é nato the Oximoron.

Nota: una Campagna é un arco narrativo di un Gioco di Ruolo, giocato da uno stesso gruppo (un gruppo  é formato di solito da 4-5 Giocatori, più un Master/narratore). Può durare una singola sessione (una serata) o anche diversi anni, dipende dalla pazienza del gruppo.

Elisa (a destra) Chiara (a sinistra) e la teiera (al centro)
Duca di Insubria: Da quanto tempo siete in affari?
Nana Oximoron:  Dal 2010.
Duca di Insubria: Che altre attività svolgete?
Nana Oximoron:  Organizziamo eventi legati all'ambito del negozio: soprattutto Cosplay (parate e Cosplay Mob) ma anche serate, come quella che abbiamo organizzato per la notte di Halloween o per la notte di Capodanno [quest'ultima in collaborazione con la Baracca dei Briganti, che si trova sulla Strada Provinciale 27, vicino al cimitero di Borgarello in direzione Certosa di Pavia, all'interno del Circolo della Pesca, N.d.D.].
Stiamo organizzando un evento Cosplay per il Carnevale, teoricamente con il patrocinio del Comune di Pavia.
Più avanti, speriamo di riuscire ad organizzare anche una Fiera del Fumetto.
The Oximoron: panoramica del negozio.
Duca di Insubria: Che problemi avete incontrato?
Nana Oximoron: Soldi e tempo, per lo più. Questo é il mio secondo lavoro: sono anche impiegata in un negozio di Milano. La mattina lavoro lì, dopo pranzo prendo il treno e vengo qui (per questo the Oximoron é chiuso la mattina e, di lunedì, tutto il giorno). 
L'ultima creazione di Elisa
(in preparazione)
La domenica la passo sempre qui, a cucire. In altre parole, negli ultimi due anni, ho completamente dimenticato che cos'é una vacanza. La cosa più simile [a una vacanza] che mi é capitata, é stato quando ho avuto l'influenza [ride].
Però, sono stata costretta a chiudere il negozio, quindi é stata una perdita secca.  
Duca di Insubria: Caspita, sembra un lavoro davvero pesante.
Nana Oximoron: Oh, lo é. Ma per fortuna, sembra che chiunque passi da questo negozio venga preso dal desiderio di dare una mano.
Molti dei miei clienti sono anche miei amici, spesso passano anche solo per fare due chiacchiere, o per discutere i dettagli di un corpetto, di una cintura... Due di loro, due ragazze, mi hanno aiutato ad allestire la vetrina.
Ora che devo cambiare l'allestimento, mi hanno detto "Non toccare niente finché non arriviamo noi!" [Guarda verso la vetrina con un misto di dubbio e rassegnazione].

Vengo contagiato anch'io: quando mi dice che sta cercando del raso color crema-panna per la sua ultima creazione, mi offro di portare il suo biglietto da visita alla sarta dove si serve mia madre.
"Enigma", di Marco Bressan.
Maggiori informazioni sul 
suo sito.
Dopotutto, devo pur ringraziare per il té.

Nana Oximoron (continua): Qui sono entrati anche alcuni artisti locali, ad esempio Marco Bressan [mi indica un quadro appeso alla parete]. Quello é suo, ed é in vendita.

Duca di Insubria: Che tipo di clientela avete?
Nana Oximoron: Tutti gli "alternativi" di Pavia.
La "Punkettina", la Cosplayer, la signora che ha sbagliato porta [in quel preciso momento, una vecchietta é davvero entrata nel negozio, alla ricerca di un rocchetto di filo rosso; Elisa la reindirizza verso la merceria, che si trova due numeri più avanti].
La mia é una clientela molto varia. Molti sono giovanissimi, ma ci sono anche persone di trenta o di quarant'anni.

Mentre scrivo gli ultimi appunti arriva una di questi "alternativi", Cristina, una ragazza di Pavia che studia arte, e che ha già collaborato con qualcuna delle iniziative di cui sopra.
Cristina é una cliente abituale di the Oximron.
(grazie per la collaborazione)

Un annuncio, attaccato tra i due appendiabiti, porta il suo nome.

Discute con Elisa di un progetto che sta portando avanti, poi decide di provarsi un corpetto.
Le chiedo se vuole farsi fotografare.
Con una grande cortesia, lei accetta.

A questo punto, credo non mi sia rimasto altro che raccomandare ai miei lettori di fare un giro dalle parti di Pavia.

giovedì 17 gennaio 2013

The Oximoron

Milano non é soltanto la capitale economica dell'Insubria, ma anche una delle capitali europee e mondiali della moda. Per questo motivo io che non ho mai amato stilisti e passerelle, ho deciso di spostarmi verso sud, e raggiungere l'altra capitale storica, Pavia, alla ricerca di un'alternativa.

Ed é esattamente questo che ho trovato: nel cuore della città longobarda, nascosto dietro alla stazione, si trova un piccolo atelier della moda alternativa.

La mascotte del negozio:
Socrate il gatto a vapore
Si chiama the Oximoron, ed é gestito da una vera e propria stilista di frontiera: Elisa, in arte Nana Oximoron.
Elisa é specializzata nella realizzazione di abiti gotici, dark e punk, ma le sue creazioni, e la principale caratteristica della sua impresa, non si limita ai vestiti.

Ogni cosa, nel negozio, ha una storia, che lei stessa mi illustra nel corso della mia visita, durante la quale, da perfetta dama vittoriana, non manca neppure di offrirmi una tazza di té e biscotti.

Il lavoro é stato talmente estensivo che fatico a elencare ogni dettaglio: il camerino, in origine parte di un retrobottega ristrutturato, é separato da una tenda in damascato rosso realizzata da Elisa stessa, come la sua compagna (della tenda) che va a formare lo sfondo della vetrina.
Il bancone invece, recuperato dal precedente proprietario, é stato dipinto di nero e decorato con appliques dorate. Ciò gli ha dato un aspetto retrò in linea con l'intero negozio.

In perfetto stile steampunk, Elisa ricicla tutto, dalle sedie della nonna, verniciate di nero e rifoderate con lo stesso tessuto damascato delle tende, ai "riccioli" in ferro battuto degli appendiabiti, uno dei quali, in origine era un tavolo; ha inoltre applicato lei stessa la modanatura alle pareti, e dipinto i termosifoni con la bomboletta spray, ottenendo un effetto finta-ruggine che chi é mai stato in una classica "casa stregata" di un luna-park certamente ha visto. 
Mi fa poi notare il vecchio lampadario, in stile classico, che pende dal soffitto:
"Recuperato quando degli amici hanno cambiato casa"
dice Elisa "Quando ci ho messo le mani sopra era nero.
Lo abbiamo rimesso a nuovo con una paglietta,
detergente e olio di gomito".
La prima cosa che mi colpisce del soffitto però, non é il lampadario, ma il dipinto che raffigura una luna piena semi nascosta da nuvole nere.
"Quello lo aveva fatto un pittore professionista, ma era venuto male, così l'ho rifatto da capo. In quell'occasione ho dipinto anche i termosifoni e, poco alla volta, tutto il negozio".
Questo appendiabiti é stato ricavato da un vecchio tavolo.

I "riccioli" in ferro battuto sono anch'essi riciclati.
Più che un negozio, the Oximoron sembra un vero e proprio gioiello, troppo sfaccettato per essere descritto in un solo post.
Per questo rimando l'intervista che ho fatto a Elisa alla prossima volta.

martedì 15 gennaio 2013

Asterix & Obelix al servizio di Sua Maestà

Sono andato a vedere questo film solo per dovere d'ufficio.
Sempre per dovere d'ufficio, mi sono sforzato di non uscire sbuffando dalla sala prima che finisse il primo tempo.
Per dovere d'ufficio sto cercando di mettere insieme le parole per scrivere una recensione decente, che non liquidi l'intera pellicola con un semplice "Questo film è una boiata", e anche questo mi sta costando un enorme sforzo, e temo non ci sia proprio niente da fare: questo ennesimo capitolo della saga di Asterix, con la sua comicità stanca, e le solite vecchie battute ripetute all'infinito (peggio, riciclate: persino il titolo é una citazione) era qualcosa di cui si poteva benissimo fare a meno.
Credo anzi che sia stato toccato il momento più basso della storia della cinematografia, quando Cesare ha detto "Asterix, io sono tuo padre!" seguito da un improbabile sbuffo d'aria da chissà dove.
A voler cercare attentamente raschiare il fondo, un paio di momenti che mi hanno quasi fatto ridere, ci sono stati... ma appena finiti i titoli di coda, non riuscivo più a ricordare quali fossero.
Persino vedere Obelix che fa volare i Romani, dopo un po', smette di essere divertente.

Vorrei solo sedermi davanti a una buona tazza di the acqua calda, con un goccio di latte, e dimenticare di aver mai visto questo film.

lunedì 14 gennaio 2013

Legozio

Non ho molti ricordi di quando ero piccolo, ma uno di quelli che mi é rimasto é di aver ricevuto in regalo la mia prima scatola di Lego.

Si trattava di una "Scatola Universale", senza un tema preciso.
Ricordo di averla ricevuta nell'appartamento di mia nonna, che lei chiamava "il Tugurio", un modesto bilocale in zona Bovisa; a regalarmela però, era stata mia zia, o forse un'amica di mia madre, non ricordo esattamente.

L'unica cosa certa é che quello fu l'inizio di un'intensa attività creativa, destinata a continuare fino alle soglie del liceo, nonostante i vani tentativi di una mia professoressa delle medie di farmi passare ad altri interessi (uno zelo tutt'altro che necessario: oltre ai Lego, avevo e continuo ad avere una grande varietà di interessi).

Qualche anno fa, per bisogno di spazio, ho eliminato tutti i miei mattoncini, consegnandoli a un'amica di famiglia, che aveva dei nipotini.

Sfortunatamente per me, allora non c'era il Legozio.

Un Sopwith Camel, un caccia inglese della Prima Guerra Mondiale. 

Il Legozio si trova a Garbagnate Milanese, in via Manzoni 17 a poca distanza dalla stazione (verso il centro).
Appena ho saputo della sua esistenza, la vecchia passione si é riaccesa: dovevo vederlo.
La vetrina
Molte cose sono cambiate rispetto a come le conoscevo: nuovi elementi, nuovi mondi che avrei desiderato costruire ma sarebbero stati irrealizzabili all'epoca, nuovi modelli che non avrei mai neppure sognato...
...accanto a modelli più classici, alcuni dei quali ricordo io stesso di aver montato (e smontato, e rimontato).
Il Legozio tuttavia, non é un semplice negozio di giocattoli: si rivolge soprattutto ad appassionati e collezionisti.
Qui é possibile vendere o scambiare i propri mattoncini usati, acquistare scatole da collezione (anche prenotando gli acquisti con un modulo) rintracciare un particolare modello uscito in un determinato anno (Lego Vintage).
Esiste persino un indice di reperibilità per ogni modello, descritto con una scala di colori: raro (blu), difficile (rosso) e introvabile (oro).
Gli appassionati costruttori hanno la possibilità di acquistare anche singoli mattoncini specifici per una propria creazione, ma se non avete tempo o voglia di assemblarla, é possibile farlo realizzare dallo staff dietro preventivo (utile per uno studio di architettura, per un progetto universitario o attività promozionali).
Si può assistere a dimostrazioni di montaggio ogni sabato pomeriggio.
Un altro scorcio della vetrina, che qualcuno potrebbe trovare di suo gusto...


Alla fine però, credo che il fascino del Legozio stia semplicemente in una cosa: il desiderio di liberare i nostri impulsi creativi, dando loro la possibilità di viaggiare verso i mille mondi del possibile....
Si parte!







sabato 12 gennaio 2013

Cloud Atlas

Uno strano film, che non é riuscito ad entusiasmarmi, ma solo perché ero troppo occupato a ricollegare tra di loro tutti gli elementi della trama. In realtà non si tratta di una singola trama, ma di sei diverse storie, che si dipanano in un arco di più di cinque secoli, e il protagonista di ciascuna storia compie delle azioni che influenzano tutti gli altri. Ad ulteriore complicazione, nessuna delle sei storie viene raccontata in maniera lineare, ma si passa di frammento in frammento, spesso con la voce narrante di uno dei protagonisti sovrapposta alle immagini di un altro, e ognuno di loro legge, guarda o ascolta la storia di quello che lo ha preceduto.
Ciascuna storia inoltre, viene raccontata con uno stile diverso, dal romanzo epistolare al giallo, dal cyberpunk al diario, fino al post-apocalittico.
Viene inoltre suggerito che tutti o quasi i protagonisti siano la reincarnazione della stessa persona, o persone, se consideriamo anche il continuo scambio di ruoli degli attori: uno schiavo fuggiasco nel 1849 diventa un soldato di colore nella guerra di Corea, padre della protagonista nella San Francisco del 1974, una giornalista interpretata da Halle Berry, che diventa a sua volta una "presciente" nel futuro post-apocalittico del 2321. In ogni caso, il personaggio principale che collega tutte le storie tra loro é sempre riconoscibile da una voglia a forma di cometa sulla spalla, che dovrebbe rappresentare la sua anima che passa da un'epoca all'altra.
A fare da filo conduttore, oltre alla cometa, é la sinfonia che ha lo stesso titolo del film, composta da uno dei protagonisti, un musicista, nel 1936 cantato da un'altra, un clone nella Seoul del 2144, mentre la giornalista del 1974 ricorda di averla già sentita.

Tutto é collegato, ogni azione che compiamo crea il nostro futuro. E se, visto da fuori, un singolo atto di coraggio può sembrare come una goccia nel mare, il mare, a ben guardare, non é che una moltitudine di gocce.

venerdì 11 gennaio 2013

I Celti della Valle del Po negli eserciti di Roma

Dopo aver letto "An Imperial Possession: Britain in the Roman Empire" di David Mattingly, il primo di nove volumi della storia della Gran Bretagna (ed. Penguin) ho notato diversi parallelismi tra la Britannia Romana (o meglio, romanizzata) e l'Italia nord-occidentale di oggi.
Sebbene di dimensioni molto più modeste (ma di non minore importanza) il libro di Maurizio Pasquero non fa che confermare questa impressione.


Siccome non ho ancora letto il libro (di solito li compro in blocco tra maggio e settembre, per poi leggerli poco alla volta durante l'anno, mentre evito grosse spese nel periodo di gennaio-febbraio)
posso affidarmi, per recensirlo, soltanto agli appunti che l'autore stesso mi ha inviato, ampliati dai miei stessi appunti presi durante la presentazione del libro a cui ho partecipato ieri sera (10 gennaio), affidando al futuro una descrizione più approfondita.
Quei Celti dimenticati che combatterono per Roma

«Con i Galli si combatte per la propria salvezza, non per la gloria» sentenziava Sallustio. Nell'affermare ciò, lo storico romano traeva spunto da un evento accaduto per lui che scriveva negli anni Quaranta del I secolo a.C. una generazione prima: la cocente sconfitta subita nell’ottobre del 105 a.C., presso l'odierna Orange, in Provenza, dalle legioni romane a opera di Cimbri e Teutoni, entrambe, in verità, popolazioni di ceppo germanico. Tale lapsus la dice lunga sulla terribile nomea che i Celti, a un secolo e più dalla definitiva neutralizzazione di quelli “di casa”, i Galli cisalpini, ancora rivestivano nell’inconscio collettivo dei Romani.
Il possesso di una spada, tra i Celti, connotava l'uomo libero, fin dalla più giovane età addestrato al suo uso. Perdute per sempre armi e libertà, cosa accadde ai formidabili guerrieri che per due interi secoli, dalla battaglia dell'Allia a quella della Selva Litana, furono sempre una dolorosissima spina nel fianco per l’Urbe? Vennero decimati ed espulsi, come per lo più capitò agli indomabili Boi della Cispadana? O si risolsero, confinati nelle loro terre, a mutare le proprie spade in aratri come si tramanda per gli Insubri? 
Gli Insubri erano il più importante popolo celtico a sud delle Alpi (dovrei dire a cavallo delle Alpi, visto che la presenza di un popolo chiamato Insubri é attestata anche nel sud della Francia) e costituivano, assieme ai Boi (che abitavano a sud del Po) e ad altre popolazioni minori (Salassi, Taurini, Senoni, Cenomanni, Comensi tra gli altri) il complesso etnico-geografico noto come Gallia Cisalpina.

Maurizio Pasquero é stato uno dei primi a studiare la loro storia, fin dal 1997.
Le fonti classiche, unica testimonianza per quegli eventi insieme ai dati esigui dell'archeologia, sono scarne e vaghe, accennano qua e là a occasionali milizie galliche poste al seguito delle legioni combattenti: un onere preteso da Roma in ragione di trattati stipulati con ogni singolo teuta vinto o sottomessosi e ancora validi, attestava Cicerone, ai suoi tempi. Nei fatti, non molto si conosce di tali auxilia celti dai giorni della conquista della Transpadana fino allo scoppio della Guerra sociale e anche oltre: come un fiume carsico, essi appaiono e scompaiono. Netta è l’impressione che venissero deliberatamente sottoutilizzati dalle gerarchie militari repubblicane e tenuti ai margini dei maggiori eventi bellici. Salvo poi, con un'improvvisa epifania, manifestarsi in massa nelle “legioni vernacole” di Giulio Cesare alla vigilia della guerra di conquista delle Gallie.
Pasquero passa agevolmente dalla Storia all'attualità, quando afferma che la "Questione Settentrionale" é iniziata 2200 anni fa: dopo la Battaglia di Como (196 prima dell'Era Volgare) con la sconfitta dell'alleanza dei Boi e degli Insubri, e due anni dopo con la resa definitiva degli Insubri, Roma si trova ad avere per le mani la "Causa Transpadanorum". I Boi, popolo composto da 102 tribù, vengono espulsi verso l'Europa Centrale (Boemia) mentre gli Insubri vengono umiliati da trattati le cui condizioni sono pesantissime.
Viene loro vietato di portare armi, mentre ai loro vicini é concesso di continuare a farlo (questo per mantenere una sorta di "cordone di sicurezza"); vengono esclusi dai commerci, e perfino le principali strade evitano accuratamente il loro territorio.
Questo stato di sottomissione continuerà fino all'arrivo di Giulio Cesare, da cui avrebbero ottenuto la piena cittadinanza in cambio di aiuto nella Guerra Civile e, paradossalmente, nella Guerra Gallica.
Da quel momento, alle fonti storico-letterarie si sommano quelle epigrafiche, evidenze di individualità concrete, vite e morti vere, preziose memorie di pietra. E qui, in piena romanizzazione, cominciano le sorprese e riemergono le tracce celtiche. Se non sempre un nome 'alieno' è in sé e per sé un marker etnico, in situazioni in cui si vedono dei peregrini – i sans papiers di allora – far “carte false” per diventare cittadini dell'Urbe (con gli Anauni della Val di Non andò proprio così e l'imperatore Claudio dovette fare una “sanatoria”), certo appare singolare e in controtendenza la scelta di non pochi legionari nel perpetuare il proprio idionimo pre-romano come pseudogentilizio o cognome oppure, nelle filiazioni, riportare il patronimico gallico per esteso.
Il libro è dunque il rendiconto di un 'viaggio' alla ricerca di questi soldati dimenticati che combatterono per la Repubblica, per Cesare (con il quale ebbero un rapporto senz'altro privilegiato) e per l'Impero, non più celti ma nemmeno compiutamente romani. Frammenti delle loro vite emergono dalle testimonianze raccolte e rimandano talvolta ai grandiosi scenari nei quali essi furono quasi sempre comparse inconsapevoli, catapultati dai loro villaggi fino ai più lontani confini dell'Impero.Mentre i modelli culturali ed economici dell'Urbe si diffondevano tra le comunità della pianura, dei grandi laghi, delle montagne della Cisalpina, un numero crescente di nativi si volse al mestiere delle armi. Più che per atavica passione o convinta adesione a una nuova palingenesi gallo-romana, confidando soprattutto in migliori esiti economici e sociali per le proprie vite. I risultati conseguiti, osservati attraverso le vicende personali che emergono dalle testimonianze, non mostrano di averli premiati in modo significativo. Pochissimi legionari di estrazione indigena riuscirono infatti ad andare al di là dei “primi ordini”, il centurionato, nelle proprie carriere. E meno ancora, congedati, ebbero modo di rivestire nella società civile ruoli amministrativi e istituzionali di qualche rilievo. 
 Infatti, aggiunge l'autore, più di 30000 legionari sarebbero stati reclutati da questo lato del Po. Cinque intere legioni che,  dopo la morte di Cesare, sarebbero state "ereditate" da Marco Antonio, ma dopo la Battaglia di Azio sarebbero state trasferite in Oriente e qui disperse o fuse con le nuove reclute locali, perdendo la propria identità.
L'assoluta maggioranza dei legionari cisalpini che sopravvissero a 16, 20, 30 e più interminabili anni di ferma non accettarono di fermarsi là dove il loro servizio si concluse e scelsero di tornare a casa, sostanzialmente disillusi. Qui ritrovarono le vocazioni d'un tempo, gli antichi mestieri del contadino, dell’allevatore, dell’artigiano, riscoprendo tra gli orizzonti domestici, lontani dalla babele del limes, i suoni ancestrali del mondo degli avi, impossibili da sradicare. Altri ancora, mettendo a frutto le esperienze fatte nei più lontani Paesi, si volsero ai traffici e ai commerci, rendendo più prospera la propria Terra e lasciando infine ai Provinciali, senza rimpianti, l’onere di presidiare dei confini divenuti, nel frattempo, sempre più fragili e sempre più difficili da difendere.
La necropoli di Cerione, in provincia di Biella, é un documento di quelli che sono ritornati.
Ma la resistenza dei Transpadani non si ferma con Giulio Cesare: continua con le Guerre Alpine (26-15 B.C.E.) alla fine delle quali, molti ex legionari trasmigrano nelle fila dei Pretoriani.

Piano dell'opera:
Maurizio Pasquero

I Celti della Valle del Po negli eserciti di Roma 

(ausiliari, legionari, pretoriani dal II secolo a.C. al III secolo d.C.)

Presentazione di Venceslas Kruta
“Gli Archi”, Il Cerchio, Rimini, 2012, pp. 136+XVI, euro 19,00
INDICE
PRESENTAZIONE di Venceslas Kruta
PREMESSA
Capitolo I - LA FINE DELLA CISALPINA INDIPENDENTE
Capitolo II - AUSILIARI NELLE ARMATE TARDOREPUBBLICANE
Capitolo III - L’EXERCITUS GALLICUS DI CESARE
Capitolo IV - NELLE LEGIONI IMPERIALI
Capitolo V - DAI DISASTRI DELLA GUERRA AI FASTI DEL PRETORIO
Capitolo VI - UN LUNGO ADDIO ALLE ARMI
CONCLUSIONE

BIBLIOGRAFIA

sabato 5 gennaio 2013

Dracula Blues

In questi giorni di inizio d'anno ho avuto degli ospiti "stranieri" (dalle Marche) e ho passato un paio di giorni con loro in visita per Milano, riscoprendo una città che rischiavo di dare per scontata.

Ho pensato di approfittarne per visitare la mostra della Triennale dedicata a Dracula, che avevo già da qualche tempo intenzione di fare.

Da amante della letteratura inglese e del romanzo gotico, sono costretto a constatare che la mostra era semplicemente orribile, e uso questo termine solo per evitare parolacce.
Era dispersiva, caotica, scarsamente fruibile e rumorosa.
Gli oggetti esposti erano sparsi in una grande sala buia, senza neanche dei faretti per metterli in evidenza, come in qualunque museo da due soldi, e le spiegazioni erano spalmate sul muro a grandi caratteri, come una specie di tappezzeria, rendendone difficile la lettura; anzi, quando ho tentato di leggerle, anche a beneficio delle persone che mi accompagnavano, sono stato bruscamente interrotto da uno degli inservienti, a detta del quale, "stavo disturbando le altre persone in sala" (la sala era vuota, e di sicuro la musica pseudo-horror a tutto volume, che accompagnava le immagini di vecchi film sui vampiri proiettate su enormi schermi disposti a caso, avrebbe disturbato molto più di me).
Nonostante fossero esposti pezzi originali anche di pregio (il manoscritto di Dracula uscito dalla penna di Bram Stoker in persona, il costume usato nel film di Coppola) vederli lì era come osservare un servizio di piatti della Regina Elisabetta Prima usati per motivi fisiologici.
La figura affascinante di Dracula é stata spinta in secondo piano, usurpata da improbabili accostamenti tra Dracula e la moda, Dracula e Crepax (Crepax?!) e l'unica cosa che mi é rimasta alla fine è stato un tremendo mal di testa.
Non sprecate i vostri soldi per questa mostra, se volete saperne di più su Dracula, consultate Wikipedia.

La sera speravo di riprendermi da questo fiasco, rilassandomi con la voce di Valentina Romano, che cantava a Como in duo con Matteo Finizio.
Purtroppo, il locale era pessimo, affollato, rumoroso, senza spazio per suonare dal vivo e di fatto privo di acustica, al punto che riuscivo a malapena a sentire Valentina cantare, sebbene fossi quasi sotto al palco.
Lei stessa del resto, come mi ha confermato dopo la serata, non poteva neppure distinguere le note della chitarra (e non certo per colpa di Matteo Finizio, di cui, oltre a essere professore di musica, ho già avuto più occasioni di constatare la bravura) ed é stata in grado di salvare la serata solo grazie alla sua professionalità, alla sua approfondita conoscenza di ciascun pezzo e alle sue abilità canore, non diminuite neppure da un leggero mal di gola.
Nonostante i suoi sforzi, sommersa dal frastuono, alla fine anche lei é stata costretta ad arrendersi e ad abbandonare il palco più inviperita di quanto l'abbia mai vista.

Non che avesse una grande importanza per il pubblico, troppo occupato a mangiare anche solo per accorgersi che c'era una cantante in un angolo della sala (vicino - anzi sotto - al bagno, curiosamente sistemato in cima a una scala).

Mi dispiace per Valentina, e anche per Bram Stoker, perché entrambi avrebbero meritato un trattamento di ben più alto livello, questa non é stata la miglior serata né per l'uno né per l'altra.