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venerdì 11 gennaio 2013

I Celti della Valle del Po negli eserciti di Roma

Dopo aver letto "An Imperial Possession: Britain in the Roman Empire" di David Mattingly, il primo di nove volumi della storia della Gran Bretagna (ed. Penguin) ho notato diversi parallelismi tra la Britannia Romana (o meglio, romanizzata) e l'Italia nord-occidentale di oggi.
Sebbene di dimensioni molto più modeste (ma di non minore importanza) il libro di Maurizio Pasquero non fa che confermare questa impressione.


Siccome non ho ancora letto il libro (di solito li compro in blocco tra maggio e settembre, per poi leggerli poco alla volta durante l'anno, mentre evito grosse spese nel periodo di gennaio-febbraio)
posso affidarmi, per recensirlo, soltanto agli appunti che l'autore stesso mi ha inviato, ampliati dai miei stessi appunti presi durante la presentazione del libro a cui ho partecipato ieri sera (10 gennaio), affidando al futuro una descrizione più approfondita.
Quei Celti dimenticati che combatterono per Roma

«Con i Galli si combatte per la propria salvezza, non per la gloria» sentenziava Sallustio. Nell'affermare ciò, lo storico romano traeva spunto da un evento accaduto per lui che scriveva negli anni Quaranta del I secolo a.C. una generazione prima: la cocente sconfitta subita nell’ottobre del 105 a.C., presso l'odierna Orange, in Provenza, dalle legioni romane a opera di Cimbri e Teutoni, entrambe, in verità, popolazioni di ceppo germanico. Tale lapsus la dice lunga sulla terribile nomea che i Celti, a un secolo e più dalla definitiva neutralizzazione di quelli “di casa”, i Galli cisalpini, ancora rivestivano nell’inconscio collettivo dei Romani.
Il possesso di una spada, tra i Celti, connotava l'uomo libero, fin dalla più giovane età addestrato al suo uso. Perdute per sempre armi e libertà, cosa accadde ai formidabili guerrieri che per due interi secoli, dalla battaglia dell'Allia a quella della Selva Litana, furono sempre una dolorosissima spina nel fianco per l’Urbe? Vennero decimati ed espulsi, come per lo più capitò agli indomabili Boi della Cispadana? O si risolsero, confinati nelle loro terre, a mutare le proprie spade in aratri come si tramanda per gli Insubri? 
Gli Insubri erano il più importante popolo celtico a sud delle Alpi (dovrei dire a cavallo delle Alpi, visto che la presenza di un popolo chiamato Insubri é attestata anche nel sud della Francia) e costituivano, assieme ai Boi (che abitavano a sud del Po) e ad altre popolazioni minori (Salassi, Taurini, Senoni, Cenomanni, Comensi tra gli altri) il complesso etnico-geografico noto come Gallia Cisalpina.

Maurizio Pasquero é stato uno dei primi a studiare la loro storia, fin dal 1997.
Le fonti classiche, unica testimonianza per quegli eventi insieme ai dati esigui dell'archeologia, sono scarne e vaghe, accennano qua e là a occasionali milizie galliche poste al seguito delle legioni combattenti: un onere preteso da Roma in ragione di trattati stipulati con ogni singolo teuta vinto o sottomessosi e ancora validi, attestava Cicerone, ai suoi tempi. Nei fatti, non molto si conosce di tali auxilia celti dai giorni della conquista della Transpadana fino allo scoppio della Guerra sociale e anche oltre: come un fiume carsico, essi appaiono e scompaiono. Netta è l’impressione che venissero deliberatamente sottoutilizzati dalle gerarchie militari repubblicane e tenuti ai margini dei maggiori eventi bellici. Salvo poi, con un'improvvisa epifania, manifestarsi in massa nelle “legioni vernacole” di Giulio Cesare alla vigilia della guerra di conquista delle Gallie.
Pasquero passa agevolmente dalla Storia all'attualità, quando afferma che la "Questione Settentrionale" é iniziata 2200 anni fa: dopo la Battaglia di Como (196 prima dell'Era Volgare) con la sconfitta dell'alleanza dei Boi e degli Insubri, e due anni dopo con la resa definitiva degli Insubri, Roma si trova ad avere per le mani la "Causa Transpadanorum". I Boi, popolo composto da 102 tribù, vengono espulsi verso l'Europa Centrale (Boemia) mentre gli Insubri vengono umiliati da trattati le cui condizioni sono pesantissime.
Viene loro vietato di portare armi, mentre ai loro vicini é concesso di continuare a farlo (questo per mantenere una sorta di "cordone di sicurezza"); vengono esclusi dai commerci, e perfino le principali strade evitano accuratamente il loro territorio.
Questo stato di sottomissione continuerà fino all'arrivo di Giulio Cesare, da cui avrebbero ottenuto la piena cittadinanza in cambio di aiuto nella Guerra Civile e, paradossalmente, nella Guerra Gallica.
Da quel momento, alle fonti storico-letterarie si sommano quelle epigrafiche, evidenze di individualità concrete, vite e morti vere, preziose memorie di pietra. E qui, in piena romanizzazione, cominciano le sorprese e riemergono le tracce celtiche. Se non sempre un nome 'alieno' è in sé e per sé un marker etnico, in situazioni in cui si vedono dei peregrini – i sans papiers di allora – far “carte false” per diventare cittadini dell'Urbe (con gli Anauni della Val di Non andò proprio così e l'imperatore Claudio dovette fare una “sanatoria”), certo appare singolare e in controtendenza la scelta di non pochi legionari nel perpetuare il proprio idionimo pre-romano come pseudogentilizio o cognome oppure, nelle filiazioni, riportare il patronimico gallico per esteso.
Il libro è dunque il rendiconto di un 'viaggio' alla ricerca di questi soldati dimenticati che combatterono per la Repubblica, per Cesare (con il quale ebbero un rapporto senz'altro privilegiato) e per l'Impero, non più celti ma nemmeno compiutamente romani. Frammenti delle loro vite emergono dalle testimonianze raccolte e rimandano talvolta ai grandiosi scenari nei quali essi furono quasi sempre comparse inconsapevoli, catapultati dai loro villaggi fino ai più lontani confini dell'Impero.Mentre i modelli culturali ed economici dell'Urbe si diffondevano tra le comunità della pianura, dei grandi laghi, delle montagne della Cisalpina, un numero crescente di nativi si volse al mestiere delle armi. Più che per atavica passione o convinta adesione a una nuova palingenesi gallo-romana, confidando soprattutto in migliori esiti economici e sociali per le proprie vite. I risultati conseguiti, osservati attraverso le vicende personali che emergono dalle testimonianze, non mostrano di averli premiati in modo significativo. Pochissimi legionari di estrazione indigena riuscirono infatti ad andare al di là dei “primi ordini”, il centurionato, nelle proprie carriere. E meno ancora, congedati, ebbero modo di rivestire nella società civile ruoli amministrativi e istituzionali di qualche rilievo. 
 Infatti, aggiunge l'autore, più di 30000 legionari sarebbero stati reclutati da questo lato del Po. Cinque intere legioni che,  dopo la morte di Cesare, sarebbero state "ereditate" da Marco Antonio, ma dopo la Battaglia di Azio sarebbero state trasferite in Oriente e qui disperse o fuse con le nuove reclute locali, perdendo la propria identità.
L'assoluta maggioranza dei legionari cisalpini che sopravvissero a 16, 20, 30 e più interminabili anni di ferma non accettarono di fermarsi là dove il loro servizio si concluse e scelsero di tornare a casa, sostanzialmente disillusi. Qui ritrovarono le vocazioni d'un tempo, gli antichi mestieri del contadino, dell’allevatore, dell’artigiano, riscoprendo tra gli orizzonti domestici, lontani dalla babele del limes, i suoni ancestrali del mondo degli avi, impossibili da sradicare. Altri ancora, mettendo a frutto le esperienze fatte nei più lontani Paesi, si volsero ai traffici e ai commerci, rendendo più prospera la propria Terra e lasciando infine ai Provinciali, senza rimpianti, l’onere di presidiare dei confini divenuti, nel frattempo, sempre più fragili e sempre più difficili da difendere.
La necropoli di Cerione, in provincia di Biella, é un documento di quelli che sono ritornati.
Ma la resistenza dei Transpadani non si ferma con Giulio Cesare: continua con le Guerre Alpine (26-15 B.C.E.) alla fine delle quali, molti ex legionari trasmigrano nelle fila dei Pretoriani.

Piano dell'opera:
Maurizio Pasquero

I Celti della Valle del Po negli eserciti di Roma 

(ausiliari, legionari, pretoriani dal II secolo a.C. al III secolo d.C.)

Presentazione di Venceslas Kruta
“Gli Archi”, Il Cerchio, Rimini, 2012, pp. 136+XVI, euro 19,00
INDICE
PRESENTAZIONE di Venceslas Kruta
PREMESSA
Capitolo I - LA FINE DELLA CISALPINA INDIPENDENTE
Capitolo II - AUSILIARI NELLE ARMATE TARDOREPUBBLICANE
Capitolo III - L’EXERCITUS GALLICUS DI CESARE
Capitolo IV - NELLE LEGIONI IMPERIALI
Capitolo V - DAI DISASTRI DELLA GUERRA AI FASTI DEL PRETORIO
Capitolo VI - UN LUNGO ADDIO ALLE ARMI
CONCLUSIONE

BIBLIOGRAFIA

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